lunedì 1 marzo 2010

Processo agli studi di settore....

 Tra le tante vittime della Grande crisi vanno annoverati anche gli studi di settore? Quella che per anni è apparsa la quadratura del cerchio, tra lotta all`evasione fiscale e prelievo sul lavoro autonomo, è già fallita? La discussione è apertissima e i primi a sollevarla sono stati gli artigiani del Varesotto, i comitati di Imprese che resistono, la Cgia di Mestre, la Life veneta, riscuotendo però ampi consensi dentro le associazioni della piccola impresa, del commercio e delle partite Iva.
Le parole d`ordine dei contestatori hanno svariato dalla richiesta di sospensione per un anno fino all`abolizione. A rendere ancora più viva la polemica è stata poi la mossa a sorpresa del Pd: il responsabile economico Stefano Fassina ha appoggiato l`idea della sospensione degli studi e di una profonda correzione dei sistemi di accertamento e prelievo sul lavoro autonomo.
Visto che Fassina è una delle menti del Nens, il think tank fondato da Vincenzo Visco, il ministro che per primo ha attuato gli studi, gli elementi del rebus politico ci sono tutti. Come in ogni thriller che si rispetti per capirne di più bisogna fare un passo indietro. Di studi di settore in Italia se ne comincia a parlare nei primi anni 80, ministro delle Finanze era nientemeno che Bruno Visentini, il Gran Borghese, padre putativo delle intese tra grande impresa e sinistra, considerato poco incline ad ascoltare le ragioni dei piccoli.
Chi tra gli autonomi propose di copiare l`esperienza francese degli studi di settore lo fece, per l`appunto, per superare la Visentini-ter, una norma che poneva limiti alla deduzione dei costi per le piccole attività e anche per evitare accertamenti casualí sul territorio, spesso giudicati privi di fondamento e senza alcuna possibilità di difesa da parte dell`artigiano o del commerciante.
Si voleva evitare di sentirsi dire dal funzionario delle Entrate: «Lo so che lei ha ragione, ma deve far ricorso». 
I più dotati di memoria ricordano diversi viaggi di approfondimento a Parigi e l`avvio di una riflessione che però visse a lungo come un fiume carsico, sottotraccia. Anche perché i rapporti tra fisco e Piccoli sono rimasti burrascosi lungo tutta la fine degli anni 80 e l`inizio dei 90.
La pietra dello scandalo di allora fu l`introduzione - con Giovanni Goria alla Finanze - della minimum tax (la sua filosofia era: un imprenditore non può guadagnare meno di un suo dipendente) che provocò durissime reazioni e persino ricorsi al Tar. La partenza degli studi di settore made in Italy avvenne, come già detto con un ministro della sinistra alle Finanze, Visco, e fu preceduta da almeno cinque anni di messa a punto tecnico-metodologica.
La cosa importante da sottolineare - perché sovente dimenticata - è che vennero introdotti in un clima di 
concertazione con le categorie (i protagonisti la chiamano compliance) coinvolte passo dopo passo. Secondo punto, lo sviluppo dello strumento «studi di settore» ha un timbro bipartisan: negli anni si sono susseguiti governi di diversi schieramenti e anche esecutivi tecnici, ma il lavoro di costruzione delle nuove modalità di accertamento dei redditi autonomi è andato avanti senza abiure, a dimostrare come l`amministrazione, al di là del colore politico del ministro, la considerasse la strada migliore (se non l`unica).
Protagonista della partita oltre al fisco e alle categorie interessate è stata la Sose, una società ad hoc che gestisce il complesso software fiscale necessario per rendere credibile tutta l`operazione. Un abito su misura 
Guai a dire a coloro che gestiscono gli studi che la loro creatura si basa sulla media del pollo tra chi paga troppo e chi poco. 
La risposta che se ne ricava è netta: «Il nostro è un sistema molto sofisticato che alla fine costruisce un vestito su misura ner ciascun contribuente. Non ce ne sono due uguali». Ma come si arriva a un risultato che ai profani appare impensabile? Gli studi fotografano ben 206 settori e oltre 2 mila modelli organizzativi di business e riguardano una platea di contribuenti di circa 4 milioni di soggetti. Per fare un esempio-limite, il bar che vende solo caffè e panini è comunque analizzato con un modello organizzativo costi-ricavi diverso dal bar che ha anche il biliardo.
Ogni analisi di un modello produce una tabella con dei coefficienti, che successivamente servono a costruire quella che gli statistici chiamano una funzione. Il tutto è sottoposto a verifica con le rappresentanze e serve alla fine a determinare la posizione fiscale di ciascun lavoratore autonomo. Che a questo punto sarà dichiarato 
congruo o non congruo, in regola con l`erario oppure no. I risultati del 2008, anno pre-crisi, sembrano 
attestare il successo degli studi: 1`80% dei contribuenti è risultato congruo oppure si è adeguato in tempo.
Grazie al software (il nome è biblico, Gerico)predisposto dall`Agenzia delle Entrate qualsiasi commercialista può predire al suo cliente l`esito dell`esame di congruità e consigliargli «caldamente» di adeguarsi. Se l`artigiano o il commerciante non lo fa e viene dichiarato non congruo, la sua posizione fiscale verrà definita d`ufficio secondo i parametri degli studi di settore ma solamente se il reddito dichiarato risulta inadeguato rispetto allo stile di vita (possesso del Suv, scuole costose, ecc).
Dei circa 900 mila contribuenti che ogni anno non raggiungono la congruità viene accertato a mezzo studi di settore solamente il 5-6%. Questo complesso meccanismo serve a perseguire un obiettivo: invece di una costosa lotta senza quartiere all`evasione annidata dentro il lavoro autonomo si punta a far emergere nel tempo una quota sempre maggiore di imponibile, senza creare strappi di consenso.
Per ottenere gli stessi risultati l`amministrazioneavrebbe dovuto spendere cifre da capogiro in termini di apparati repressivi e di controllo e quindi anche un maggior incremento del prelievo sarebbe stato controbilanciato negativamente da una maggiorazione delle spese per l`accertamento. Senza per altro avere la certezza di risultati migliori.
Non va dimenticato, comunque, che gli studi di settore non si applicano ai redditi sotto i 3o mila euro annui di ricavi che pagano con il sistema del cosiddetto forfettone. Ma con la Grande Crisi tutto questo complesso castello di procedure è cascato per terra? Tutti i dati, infatti, portano a pensare che imprese artigiane e partite Iva abbiano subito nel 2009 un calo di ricavi tra 20 e 50%.
E dunque, sostengono gli artigiani varesotti, l`ampiezza della recessione ha mandato in tilt i marchingegni 
statistici della Sose. I difensori degli studi di settore sostengono di no, giurano che le procedure prevedono la possibilità di introdurre correttivi di calcolo e raccontano come l`Agenzia delle Entrate insieme a Isae e Prometeia stia lavorando per preparare i nuovi standard 2009.
Anche stavolta grazie anche al contributo delle associazioni di categoria (Confartigianato, Cna, Confesercenti, Casartigiani e Confcommercio) che hanno fornito alla Sose i dati reali di oltre 100 mila contabilità provenienti dai settori e dai territori. La commissione congiunta di esperti che vigila sugli studi dovrebbe approvare i correttivi entro fine marzo 2010 e a giugno sarà possibile capire se il lifting ha «mascherato» la Crisi.
Questa linea migliorista è condivisa sia dall`Agenzia delle Entrate sia dalle confederazioni di categoria sulla base di un ragionamento comune: se si affossano gli studi si buttano a mare dodici anni di lavoro senza avere 
un`alternativa credibile, ovvero una nuova strategia di accertamento che consenta gradualmente di aumentare la fedeltà fiscale in modo selettivo ed equo. 
Non condivide questa tattica Fassina del Pd, che pur riconoscendo il valore della Sose si è fatto sostenitore di una discontinuità. A suo parere gli studi soffrono di mala applicazione vuoi per disfunzioni dell`Agenzia vuoi 
per pressioni politiche tanto da essere diventati un ossimoro, ovvero «una minimum tax facoltativa». 
Chi incassa più dello standard individuato dall`erario non ha problemi ma chi resta abbondantemente 
sotto fatica ad adeguarsi. Nello schema Fassina va alzato l`attuale forfettone da 30 a 70 mila euro e per i contribuenti che dichiarano di più dovrebbero vigere le normali procedure di accertamento.
E gli studi di settore sono destinati alla soffitta? «No - risponde Fassina - restano uno strumento a disposizione dell`Agenzia per contribuire a selezionare la platea dei contribuenti». 
Una posizione che rompe il consenso bipartisan che c`è stato in questi anni e mette il Pd oggettivamente in contraddizione con le associazioni di categoria. «Ne sono cosciente. A noi sta a cuore la condizione di coloro che guadagnano dai 30 ai 70 mila euro e che oggi restano fuori dal forfettone. Su tutto il resto si può discutere», replica Fassina.
Dario Di Vico




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