martedì 30 luglio 2013

Imprese: +189 tra aprile e giugno in Molise

Nel corso del secondo trimestre dell’anno il saldo tra aperture e chiusure di imprese in Molise fa registrare un bilancio positivo per 189 imprese in più per un tasso di crescita tornato positivo (dopo il -0,7% del primo trimestre) pari a +0,54%. Ma il risultato è meno brillante di quello che succedeva un anno fa quando, tra aprile e giugno 2012, il saldo tra iscrizioni e cessazioni era pari a +231 imprese per un tasso di crescita pari a +0,66%.

Il sistema delle imprese, quindi, in regione avanza con un risultato finale di 34.869 imprese registrate, ma ha il fiato decisamente corto. A determinare tale situazione, hanno concorso la diminuzione del numero delle iscrizioni passate dalle 565 del secondo trimestre del 2012 alle 543 dello stesso periodo di quest’anno, e il contemporaneo aumento delle cessazioni da 334 a 354.

A livello settoriale, oltre al settore dell’agricoltura che segna il saldo peggiore (-21 imprese), altri risultati negativi tra iscrizioni e cessazioni si registrano per l’Attività manifatturiera (-6 imprese) e per i Servizi di trasporto e magazzinaggio (-5 imprese).
Di contro i settori principali dove si verifica un saldo positivo sono quello delle Costruzioni (+23 imprese), quello delle Attività di servizi di alloggio e ristorazione (+11 imprese) e quello delle Attività finanziarie (+11 imprese).

L’analisi per forma giuridica conferma poi che tutte le forme analizzate evidenziano un saldo positivo tra iscrizioni e cessazioni, con un ottimo risultato, ancora una volta, per le società di capitale.

Andando a leggere più in profondità i dati dei Registri imprese, risulta evidente un andamento diverso tra le due provincie molisane: Isernia con un stock di imprese al 30 giugno 2013 pari a 9.009 registrate e un saldo tra iscrizioni e cessazioni positivo e pari a +84 si pone al terzo posto della classifica dei migliori tassi di crescita con +0,94% (in linea con ciò che accadeva nello stesso periodo del 2012, +1,00%); Campobasso scivola, invece, al 56° posto con 25.998 imprese registrate, un saldo pari a +105 imprese, con un tasso di crescita quindi che è positivo (+0,41%), ma che diminuisce rispetto a ciò che succedeva nel secondo trimestre del 2012 quando era risultato pari a +0,55%.

Se dal punto di vista delle crisi d’imprese non condividiamo con il resto del Paese l’aumento delle procedute fallimentari che in Molise al contrario diminuiscono di -7,1%, mentre in Italia fanno segnare un preoccupante +5,9%, a certificare la persistente durezza della crisi vi sono però anche i bilanci anagrafici del comparto artigiano, rimasto fermo ormai da mesi.
In Molise sono 7.273 le imprese artigiane nel secondo trimestre dell’anno mentre ne erano 7.434 un anno fa: alla luce delle iscrizioni, 108, e delle cessazioni, 85, il tasso di crescita di tale comparto, che notevole importanza riveste nel tessuto economico della regione, risulta dimezzato ad un anno di distanza, passando da +0,61% del II trimestre del 2012 a +0,32% dello stesso periodo del 2013.




 Ufficio Studi e Ricerche
Unioncamere Molise
Ultimo aggiornamento Mercoledì 17 Luglio 2013 09:37

venerdì 26 luglio 2013

Ridefinire le istituzioni

di Umberto Berardo
Che l’Italia stia affondando sul piano economico non è un’opinione, ma una costatazione oggettiva derivante dai dati sul PIL, sulla produzione, sul consumo interno e sull’occupazione che sono tutti negativi.
Molti opinionisti rilevano l’immobilismo del governo, del parlamento e dei partiti che ormai non riescono più a decidere e sembrano indirizzati tutti all’attendismo in attesa di superare le crisi interne derivanti dalle confusioni sulla linea politica, dall’incoerenza tra le posizioni preelettorali e le decisioni successive, dall’incapacità di definire un progetto per il superamento dello stallo e per il rilancio dello sviluppo del Paese.
Questo governo avrebbe dovuto fare una legge elettorale decente, rilanciare l’economia e l’occupazione, ridefinire la spesa pubblica eliminando sprechi e privilegi soprattutto nel finanziamento pubblico della politica, eliminare le province, rendere più equo il sistema fiscale specialmente con la lotta all’evasione ed all’elusione.

CONFERENZA EUROPEA SULLA DOMENICA LIBERA DAL LAVORO



SAVE-THE-DATE

The Members of Parliament Evelyn Regner (S&D) and Thomas Mann (EPP)
and
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 The European Sunday Alliance

Invite you to
  
The Second European Conference on the Protection of a Work-free Sunday and Decent Work

2014-2019: WORK-FREE SUNDAYS AND DECENT WORK IN THE EU
What can the Members of the European Parliament do to promote the idea?


Date:                  15 October 2013
Time:                  10h00 – 17h00
Venue:               European Parliament, Brussels, Room ASP 3C050

Background:
The objective of this conference is to highlight that a work-free Sunday and a bettersynchronisation of social rhythm with working hours, with less irregular and unsocial working hours, are of paramount importance for citizens throughout Europe. It allows a better reconciliation of work and private/family life, which would also allow to partake in collective activities such as sports, culture or other social activities. In view of the up-coming elections of the European Parliament, the European Sunday Alliance will discuss with the current and prospective Members of the European Parliament their respective views and perspectives for the next legislation 2014-2019.

Background:
L'obiettivo di questa conferenza è quello di evidenziare che una Domenica libera dal lavoro e un bettersynchronisation del ritmo sociale con l'orario di lavoro, con orari di lavoro meno irregolari e asociale, sono di fondamentale importanza per i cittadini di tutta Europa. Permette una migliore conciliazione tra lavoro e vita privata / familiare, che permetterebbe anche di partecipare alle attività collettive come lo sport, la cultura o altre attività sociali. In considerazione degli imminenti elezioni del Parlamento europeo, la Domenica Alleanza europea discuterà con i membri attuali e futuri del Parlamento europeo, i loro rispettivi punti di vista e prospettive per la prossima legislazione 2014-2019.

Cara Anna Echterhoff,
siamo molto felici di leggervi e di sapere di questa conferenza presso il Parlamento Europeo a Bruxelles.
Noi abbiamo fatto una raccolta firme nazionale presentando 150.000 adesioni per portare una nuova proposta di legge di iniziativa popolare al parlamento italiano.Il ministro dello sviluppo economico ha accolto la nostra richiesta e presto sarà posta in discussione.Speriamo che presto potremo restituire alla nostra vita un sapore più umano.
Saluti.
Giulia

(Dear Anna Echterhoff,
we are very happy to read you and know of this conference at the European Parliament in Brussels.
We did a national petition presenting 150,000 accessions to bring a new bill to the italian parliament by popular initiative.Il Economic Development Minister has accepted our request and will soon be placed in discussion.We hope that we will soon return to our lives a taste more human.)
Greetings.
Giulia

venerdì 19 luglio 2013

IL DESTINO DEI MARCHI ITALIANI di Eleonora Della Ratta (Famiglia Cristiana )

L'Italia :un paese che scoraggia gli imprenditori.perchè ?

FORTIS: IN ITALIA SI COMPRA MEGLIO

"Un Paese che non aiuta, anzi scoraggia gli imprenditori." La situazione italiana e il destino dei suoi marchi nell'analisi di Marco Fortis.

«L’Italia è un Paese che non aiuta, anzi scoraggia gli imprenditori, con governi precari e un sistema bancario in difficoltà». È questa una delle cause che secondo Marco Fortis, economista e vicepresidente di Edison, spinge i nomi del made in Italy a concedersi ai Francesi: «Nel settore del lusso non abbiamo grandi gruppi delle dimensioni di Arnaud Kering, anche imprese come Tod’sPrada dovrebbero fondersi insieme per riuscire a fare acquisti tanto importanti. E, dall’altra parte, aziende che sono arrivate all’apice della loro crescita, come Loro Piana, devono entrare a far parte di questi grandi gruppi per espandersi ancora e riuscire a conquistare nuovi mercati».

LE ACQUISIZIONI STRANIERE IMPOVERISCONO L’ECONOMIA ITALIANA?

«I Francesi, soprattutto negli ultimi anni, sono molto attivi nell’acquisto di nomi del lusso italiano, ma permettono al nostro Paese di avere ricchezza con stabilimenti che restano al loro posto e, spesso, una gestione che rimane in mani italiane, così come all’Italia vanno stipendi e tasse. Gucci ne è un esempio: la produzione della pelletteria è rimasta in Toscana e il gruppo della famiglia Pinault fa della tracciabilità un punto di principio, proprio perché la qualità è la caratteristica fondamentale per vendere questi simboli del made in Italy. Certo, i Francesi possono farlo perché possono contare non solo su gruppi di dimensioni enormi e famiglie dagli immensi patrimoni, ma anche su una politica e un sistema finanziario che sostiene questo tipo di operazioni. Gli imprenditori italiani, invece, si trovano a pagare l’Imu sui capannoni, l’Irap e hanno la minaccia della Tares: qualcuno magari si stufa e decide di far entrare gli stranieri in azienda per avere spalle più larghe per sostenere una situazione non facile».

QUANTO INCIDONO SU QUESTE OPERAZIONI LE LITI DI FAMIGLIA, IN GRUPPI DOVE IL BRAND VIENE PORTATO AVANTI ORMAI DA GENERAZIONI?

«Non possiamo generalizzare, ogni caso è diverso dall’altro. Nel caso di Bulgari e Loro Piana, per esempio, ci sono state valorizzazioni di altissimo livello, con cifre in gioco notevoli e famiglie  che, con queste operazioni, hanno valorizzato le aziende che avevano, mantenendone la gestione e una quota di minoranza. Per le forze che avevano non sarebbero potute crescere di più, da sole. Poi c’è il caso Giorgio Armani, dove il fondatore è un leader forte che non ne vuole sapere di mollare la presa e va avanti o un gruppo piccolo, come Cucinelli, giovane e nel pieno dell’ascesa. Il pericolo può arrivare in casi come Esselunga, dove le liti familiari non si sa a quali scelte possono portare in un settore, come la Grande distribuzione organizzata, ormai tutta in mano a francesi e tedeschi, facendo eccezione per le cooperative che però non portano avanti una politica internazionale. Eppure la Gdo è importante per l’Italia perché permetterebbe di far conoscere meglio i nostri prodotti all’estero, come sta facendo Giovanni Rana negli Stati Uniti o Eatitaly».

LA POLITICA INDUSTRIALE DEL PAESE QUALI SETTORI DOVREBBE SALVAGUARDARE?

«La meccanica, spina dorsale dell’Italia, al di là dell’iconografia che fa di moda e alimentare i settori di punta. In questo settore i gruppi sono più piccoli e molto specialistici, in mano a famiglie giovani, e dove quello che conta sul mercato è la tecnologia, mentre sul consumatore finale non pesa l’appeal del nome. I settori strategici da tutelare sono proprio quelli della Finmeccanica, perché incidono sulla difesa, l’aerospaziale, i satelliti, così come deve essere sostenuta Fincantieri che produce le navi da crociera più belle del mondo. Possiamo invece stare tranquilli nel campo dell’energia, perché Enel ed Eni sono gruppi davvero grandi. È importante, però, che ci sia un minimo di visione a lungo termine nella politica industriale italiana».
14 luglio 2013

lunedì 15 luglio 2013

C'era una volta un Bel Paese di Ernesto Galli della Loggia



Caro Ernesto Galli della Loggia,come non condividere questo articolo?     Noi piccoli commercianti di città ,siamo sparsi sul territorio italiano in tanti come l'aria che si respira.Soffocati dalle scelte avallate da una politica che ha favorito i grandi gruppi economici  il più delle volte stranieri, appiattito l'offerta ,snaturato tutte le nostre "eccellenze",evacuato le nostre città,dove ormai si vive senza poesia,dove tanti bottegai coltivano(o coltivavano) ogni giorno il sogno faticoso di una vita per consegnare benessere e dignità ai propri figli e ricchezza al proprio Paese.Noi siamo italiani davvero ,un alveare immenso di api operaie,costruttori di pace, armonia ,sostenitori della bella inventiva italiana, macchina che diffonde turismo e bellezza con le luci e i colori delle tante diversità geografiche delle nostre variegate regioni.Da voi giornalisti vogliamo che ne parliate ogni giorno.Vogliamo che il popolo comprenda che una economia indotta e canalizzata in grandi catene,omologa appiattisce, non ti consente di scegliere e che il consumatore diventa anch'esso un prodotto e non certo dei migliori.

                                                                          Giulia D'Ambrosio


'ORGOGLIO POLITICO DA RITROVARE

C'era una volta un bel paese


La chiusura di un antico negozio di provincia e un incontro per festeggiare la lunga carriera di un uomo di cinema: perché mai un giornale dovrebbe occuparsi di fatti del genere se non nelle cronache minori? È vero, ma forse la condizione di un Paese la si intende meglio proprio dai fatti all'apparenza minori. Dove la realtà appare più vera e colpisce più immediatamente magari perché capita, come in questo caso a chi scrive, di esserle stati in qualche modo vicino.
Entrambi i fatti di cui voglio dire hanno per teatro l'Umbria. A Perugia (una città che conosco bene per averci insegnato a lungo) ha appena chiuso i battenti - per le ragioni solite: un centro storico ormai semideserto, il costo del lavoro troppo alto, un livello qualitativo che ormai è richiesto da un sempre minor numero di clienti - un'antica pasticceria, la pasticceria «Sandri». Come altri negozi del suo genere sparsi qua e là nella Penisola, era stata fondata da un cittadino svizzero subito dopo l'Unità, e, rimasta a tutt'oggi di proprietà di una famiglia d'Oltralpe, ancora esibiva nel grazioso affresco ottocentesco che ornava in alto le sue pareti la croce bianca in campo rosso della Confederazione.
Dal punto di vista dell'arte dolciaria e gastronomica era un luogo di «eccellenze», come si dice oggi. Assai più contava però il suo essere da sempre punto d'incontro e di ritrovo dell'élite cittadina; ma non solo: con il tempo, infatti, «Sandri» era divenuto un luogo di autoriconoscimento dell'intera comunità, un luogo della sua identità.
Più o meno nei medesimi giorni e a poche decine di chilometri - ecco il secondo fatto «minore» di cui dicevo all'inizio - il Festival di Spoleto ha festeggiato Enrico Medioli, uno dei più importanti scrittori del nostro cinema (e poi anche della televisione): sceneggiatore di film memorabili, in specie di Visconti, che restano tra le glorie artistiche di questo Paese: Rocco e i suoi fratelli , Il Gattopardo , La caduta degli dei . È stato festeggiato con la proiezione di un documentario che ne ha ripercorso la carriera. Nel buio del piccolo teatro rivisse così quella mattina, attraverso alcune immagini delle opere ricordate sopra, attraverso i ricordi intrisi d'intelligenza e d'ironia dello stesso Medioli e di tanti che avevano lavorato con lui, una grande pagina della storia culturale italiana. Quella del nostro cinema dei decenni postbellici: con la sua passione e il suo amore per le cose e la storia del Paese ma anche con la sua conoscenza delle cose e della storia del mondo; con la qualità artistica dei suoi uomini e delle sue donne; con il gusto e la suprema abilità artigiana dei suoi costumisti, arredatori, sarti, scenografi.
Ma che ne è oggi di tutto questo? Dov'è andata a finire l'Italia della pasticceria «Sandri» o quella in cui Visconti girava i suoi film? La risposta ha un tono inevitabile d'angoscia: svanisce, e già ne stiamo quasi perdendo il ricordo. Svanisce l'Italia delle cento città, l'antica, degna Italia provinciale insieme ai luoghi simbolici della sua socialità. Stravolta, come a Perugia e in mille altri luoghi, da politiche urbane demenziali, dall'arroganza distruttrice di una «gente nova» quasi sempre di origine politica o alla politica in mille modi collegata, abbandonata da una borghesia incolta e indifferente. Ma insieme a lei svanisce anche l'Italia moderna del Novecento, e agonizza quella cultura - il cinema, appunto - che per antonomasia ne accompagnò la straordinaria ascesa. Marghera, Mirafiori, Bagnoli, Sesto San Giovanni, Terni, l'Ilva sono i cimiteri, ormai abbandonati o quasi, del suo grande apparato industriale di un tempo, i cimiteri del suo grande sogno di stare alla pari con la parte più avanzata del Continente.
Un sogno che sembra finito: dappertutto, da Nord a Sud, non si contano le fabbriche ormai silenziose, così come non si contano lungo le strade le saracinesche abbassate dei negozi chiusi. Mentre a questa paralisi che avanza fanno da simbolico contrappunto l'eguale abbandono di Cinecittà, la desolazione produttiva e di idee di quella che un tempo fu la Rai, le tante librerie che scompaiono.
È un'intera, lunga pagina della nostra vicenda nazionale quella che oggi sembra chiudersi. Una grande pagina: la cui fine non solo si ripercuote drammaticamente sulla vita concreta di tanti, ma si accompagna all'aprirsi di un vuoto angoscioso, anche se spesso inconsapevole, nel cuore e nella mente di tutti. L'angoscia di avere imboccato la via verso un precipizio senza sapere se e quando riusciremo a fermarci.
Ma la politica, la politica, percepisce questo vuoto? Avverte questa angoscia? Nella crisi italiana il discorso torna necessariamente, implacabilmente, sempre allo stesso punto: alla politica. Più che mai le chiacchiere sulla società civile stanno a zero, infatti: più che mai l'Italia è condannata alla politica. Perché solo da lì possono venire non il miracolo ma innanzi tutto la parola, l'indicazione di marcia, la speranza di un futuro. Come ci ha spiegato a suo tempo Michael Walzer, l'Esodo degli ebrei dall'Egitto sotto la guida di Mosè è l'archetipo politico di ogni situazione sociale in cui è necessario rompere con il passato, imboccare arditamente vie nuove. Abbiamo forse, allora, bisogno di profeti? Ebbene sì, oggi l'Italia ha bisogno di profeti. È sbagliato farsi spaventare dalle parole: non sta scritto da nessuna parte, infatti, che non possano esserci profeti democratici: Roosevelt e anche De Gasperi a loro modo lo furono. Così come non sta scritto da nessuna parte che non possano esserci anche partiti capaci di spirito e di capacità profetica. Che poi vuol dire nient'altro che la capacità di trasmettere convinzione, fiducia, coraggio. Ma la capacità di farlo, vivaddio, uscendo dal consueto, osando modi e gesti inediti, dando segni emozionanti di rottura: che cosa c'è mai di così pericoloso in tutto questo, mi chiedo, per la democrazia? Nei momenti di crisi è piuttosto la banalità, il tran tran, il conformismo ripetitivo delle frasi fatte, ciò che uccide la democrazia. Consegnando i suoi cittadini - come sta accadendo oggi in Italia - alla passività, alla sfiducia e al disprezzo per la politica.
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