Di Simone Ricci • 15 giu, 2013 •

I numeri peggiori sono quelli che riguardano quei negozi che sono attivi nel settore dell’abbigliamento, con ben 11.238 esercizi destinati a scomparire, vale a dire l’8% in meno su base annua. Chi resiste ancora, al contrario, è il comparto alimentare, dato che vi saranno “soltanto” 4.701 sparizioni (-3% per la precisione). Il saldo di cui si sta parlando si ottiene dalla differenza tra le aperture di attività commerciali e le chiusure, dunque non è incoraggiante che prevalgano sempre le seconde.
Non si possono nemmeno fare troppe distinzioni tra regioni e regioni, visto che il fenomeno colpisce praticamente l’intera penisola. Vi sono dei casi che vale la pena ricordare comunque: ad esempio, il maggior numero di chiusure di negozi del settore alimentare avverrà in Sicilia, mentre la Basilicata fa registrare i numeri più allarmanti in assoluto per quel che riguarda l’abbigliamento. L’unico segno più si riferisce alla Valle d’Aosta e ai bar, con trentatré nuove aperture e trenta chiusure (+1%).
Tra l’altro, come evidenziato dalla Cgia di Mestre, una corposa fetta di responsabilità va imputata alla burocrazia. Quest’ultima costa alle imprese italiane più piccole ben trentuno miliardi di euro, settemila a testa. Va semplificato l’intero processo che porta alla creazione e apertura degli esercizi commerciali, altrimenti continueremo a sentire storie di italiani che hanno preferito evitare tutto ciò e aprire negozi e aziende all’estero.
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