domenica 26 febbraio 2012

Crisi, lo scaricabarile delle banche - ECONOMIA

Confidi: a rischio 30 mila aziende.
di Marco Mostallino
Secondo i Confidi la chiusura delle imprese provocherebbe una perdita di posti di lavoro che oscilla tra le 625 e le 700 mila unità.
Un calo di 200 miliardi di euro negli impieghi bancari provocherà, nel 2012, la chiusura di 25-30 mila imprese e una perdita di posti di lavoro che oscilla tra le 625 e le 700 mila unità. Colpa, secondo le associazioni dei Confidi, della stretta sul credito operata dalle banche che sempre meno sostengono le aziende, preferendo investire in titoli di Stato, per non assumere alcun tipo di rischio.
È lo scenario prospettato dai Consorzi fidi di garanzia, riuniti a Firenze per il sesto convegno nazionale. Ma è anche l'allarme lanciato da una serie di istituti di ricerca, Nomisma, Res consulting group, Prometeia, Cnr, e dalle imprese del Meridione, durante due incontri tenutisi a Benevento e Salerno.
L'ABI: CHIESTI MENO FINANZIAMENTI. Indice puntato sul sistema del credito, dunque, ma dal fronte degli sportelli arriva la replica dell'Associazione bancaria italiana (Abi) secondo la quale il cuore del problema risiede tra gli stessi imprenditori i quali chiedono sempre meno finanziamenti per investimenti, rivolgendosi al sistema del credito principalmente per «ristrutturare i debiti», ovvero per coprire le vecchie esposizioni con quelle nuove, mettendo così in moto una sprirale negativa e distruttiva per la produzione e l'occupazione.
Peggiorate le condizioni di accesso al credito

Secondo il Centro Europa ricerche, istituto fondato da Giorgio Ruffolo, sulla base dei dati Istat risulta come negli ultimi due anni il 12% delle imprese italiane non ha ottenuto credito dalle banche, mentre il 33% ha dovuto subire tassi più elevati e un generale peggioramento delle condizioni di accesso al denaro.
UN CALO DELLA DOMANDA DELL'1%. Nel complesso, sempre secondo l'Istat, il 2011 ha visto un calo dell'1% nella domanda di credito, cifra che raddoppia in alcune regioni del Sud, per toccare punte tra il 10 e il 20% nelle province meridionali più in difficoltà. «Invece che di alleanza della crescita, dobbiamo parlare di alleanza per la resistenza», ha avvertito il presidente del consorzio Gafi Sud, Rosario Caputo, durante un meeting a Benevento promosso dalla locale Assoindustria.
I 116 MILIARDI DELLA BCE ALLE BANCHE. Ad aggravare la tensione tra il sistema delle imprese e quello del credito c'è poi la sorte dei 116 miliardi di euro che, lo scorso anno, la Banca centrale europea ha prestato agli istituti italiani ad un tasso dell'1%.
Secondo il Centro europa ricerche, la flessione nel credito alle imprese nel 2012 sarà del 5% con il susseguente crollo di 625 piccole e medie imprese, mentre i quattrini erogati dalla Bce non sono mai arrivati alle aziende che li attendevano come acqua nel deserto.
I FINANZIAMENTI SONO SCESI A 38 MILA EURO. Le rilevazioni Istat, dal canto loro, segnalano che nel 2011 l'ammontare medio dei finanziamenti è sceso a 38 mila euro contro i 45 mila dell'anno precedente. Insomma, i 116 miliardi distribuiti da Mario Draghi non sarebbero mai giunti alle aziende e il caso è rimbalzato in Parlamento con una serie di interrogazioni. Tra esse, vi è quella dei deputati del Pdl Maurizio Lupi e Fabrizio Cicchitto, i quali chiedono se «il governo è a conoscenza dell’utilizzo delle Banche italiane dei 116 miliardi di euro ottenuti dalla Bce? E quali iniziative urgenti vorrà disporre affinché, in accordo con la Banca d’Italia, sia verificato il corretto utilizzo delle risorse della Bce?».
L'Abi: il sistema Italia non crede in se stesso


Secondo l'Abi il cuore del problema risiede tra gli stessi imprenditori che chiedono sempre meno finanziamenti per investimenti, rivolgendosi al sistema del credito principalmente per «ristrutturare i debiti».


L'associazione delle banche (Abi) però respinge le accuse e, contattata daLettera43.it, replica sottolineando una serie di dati contenuti nel proprio Monthly outlook di febbraio 2012. Due le considerazioni principali dell'Abi. La prima, l'ammissione che «a fine 2011 si è registrata una decelerazione della dinamica dei finanziamenti al totale imprese: +3,1%, dal +5,8% di ottobre».
LA DINAMICA DELL'EROGAZIONE PRESTITI. Un fenomeno che prosegue, considerato che - spiega sempre Abi - «la dinamica dei prestiti bancari ha manifestato, alla fine del primo mese del 2012 un lieve rallentamento; sulla base di prime stime i prestiti a famiglie e società non finanziarie sono risultati pari a 1.513 miliardi di euro, in crescita tendenziale del +1,6% (+3,6% a fine 2011; +1,3% nella media Area Euro a dicembre 2011)». Gli impieghi rallentano, ma in Italia questo freno è al di sotto del calo registrato all'interno dell'Ue.
LA RESPONSABILITÀ DELLE IMPRESE. Il secondo punto che le banche sottolineano riguarda la responsabilità delle imprese. «Secondo quanto emerge dal Bank lending survey sulle determinanti della domanda di finanziamento delle imprese nel 2011, specie nell’ultimo trimestre, si è registrata una significativa diminuzione della domanda di finanziamento delle imprese legata agli investimenti, una delle più rilevanti variazioni su base trimestrale».
SONO LE AZIENDE A MACARE DI CORAGGIO. Permane solo, fa notare l'Abi, «la domanda di finanziamenti per operazioni di ristrutturazione e consolidamento del debito e per necessità di copertura del capitale circolante». Sarebbero dunque le aziende italiane, e non le banche, a mancare di coraggio, di nuovi progetti e idee. Sarebbero gli imprenditori a chiedere denaro per coprire vecchie esposizioni piuttosto che per investimenti nella produzione, nel marketing, nei servizi e nell'occupazione.
Quanto ai 116 miliardi prestati dalla Bce all'1%, questi denari - sempre secondo l'Abi - non costituirebbero una risorsa aggiuntiva, ma sono serviti a compensare il calo registrato in altre fonti di approvvigionamento.
IL DEFICIT DELLA RACCOLTA SUI MERCATI. In particolare, il finanziamento di Francoforte è andato a sostituire in parte la racconta sui mercati internazionali e, soprattutto, a coprire il calo dei «classici strumenti di raccolta presso residenti (depositi e obbligazioni)» i quali, ha spiegato l'Abi, nel 2011 «hanno rappresentato con un totale di 24 miliardi di euro appena l’11% del totale delle risorse acquisite dalle banche italiane: per confronto si consideri che l’anno precedente la raccolta presso residenti aveva determinato un afflusso di risorse per quasi 130 miliardi di euro».
A giudizio degli istituti di credito, è dunque il sistema Italia a non immettere risorse sul mercato del credito, a non credere in se stesso e nella scommessa della crescita.
Sapelli: «Le imprese aprano le proprie banche»


L'economista Giulio Sapelli.


Secondo l'economista Giulio Sapelli, sentito da Lettera43.it, «la posizione dell'Abi è tecnicamente inadeguata, non ha basi, perché le banche hanno sempre dato il credito per ristrutturare il debito. L'Abi dice una cosa che non ha nessuna base tecnica. Lo so anche perché conosco personalmente casi drammatici di imprenditori che non riescono a ottenere finanziamenti per investimenti in aziende che pure vanno bene.
L'UNICO SOSTEGNO? ARRIVA DALLE BCC. Solo le banche di credito cooperativo e le popolari, osserva Sapelli, danno credito a questi imprenditori. «E non è dunque un caso che proprio le popolari e le cooperative abbiano subito un attacco iniquo, attraverso una serie di emendamenti al testo unico bancario i quali, surrettiziamente, puntano a far uscire dalla Borsa le banche già quotate o a rendere più difficile l'accesso alle altre».
LE BANCHE ACQUISTANO TITOLO BCE. E ciò è negativo per l'intero sistema in quanto, secondo Sapelli, «i soggetti dell'associazionismo nel campo del credito, terzi fra lo Stato e il mercato, costituiscono la forza propulsiva della crescita». Quanto all'approvvigionamento, l'economista osserva che «le banche italiane comprano i titoli che la Bce mette in circolazione a tassi estremanete bassi e guadagnano con manovre sui titoli di Stato», in un meccanismo il quale ha fatto sì che quei miliardi di Francoforte «non siano mai arrivati all'economia reale, ma sono serviti alle banche per sanare le ferite aperte dal precedente eccesso di rischio».
L'INCAPACITÀ DEGLI ISTITUTI FARE LOBBY. Infine, Sapelli indica tre piste di lavoro per il futuro: «Agli imprenditori dico: fatevi le vostre banche e aprite i vostri conti correnti presso il credito cooperativo e le popolari».
Riguardo agli istituti, poi, «il problema non sta nella malvagità dei banchieri, ma nell'incapacità delle banche italiane di fare lobby e di parlare con una voce sola all'Europa, cosa che invece sarebbe necessaria». Terzo punto, la necessità che «la Bce funzioni come la Federal Reserve americana, in modo che le robuste iniezioni di denaro giungano fino alle imprese, invece di restare nella pancia delle banche».

Venerdì, 24 Febbraio 2012

Nessun commento:

OLD-POST: