lunedì 5 dicembre 2011

A proposito della manovra economica l'opinione di...

 Tanto tuonò che… non piovve
di Umberto Berardo
Che l’Italia stia attraversando un momento difficilissimo è un fatto.
Che la crisi colpisca l’intera popolazione, come si vorrebbe far credere è assolutamente falso, perché negli ultimi quindici anni lo 0,1% degli Italiani ha visto crescere il reddito del 40% .
È vero, al contrario, come dimostra l’ultimo rapporto Caritas-Zancan che la ricchezza appartiene a pochi, mentre la povertà è in forte aumento e colpisce il 13,8% della popolazione e cioè 8.272.000 persone.
La finanziarizzazione dell’economia, le regole selvagge e disumane del mercato e la scomparsa di un metro etico dall’azione politica sono le cause principali del disastro socio-economico che non solo aumenta la povertà, ma accresce le disuguaglianze.
L’opinione pubblica ha tollerato per anni che si costruisse un’antropologia feticistica che ha annullato la dignità della persona umana ed ha messo sugli altari le logiche del profitto.

Ancora oggi non siamo capaci di costruire un’agenda politica che rimetta al centro della riflessione e della proposta il ritorno ad una democrazia rappresentativa, ad una economia fondata sul lavoro reale piuttosto che su quello dell’arricchimento speculativo, ad un welfare che preveda la riduzione almeno progressiva delle disuguaglianze e la creazione di una società dove ognuno possa godere dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione.
L’enorme debito pubblico creato senza alcun pudore, il marcio presente nel mondo finanziario, la corruzione dilagante ed il venir meno della capacità produttiva di un mondo imprenditoriale che ha delocalizzato o si accontenta di rifugiarsi nel settore dei servizi hanno portato il nostro Paese sull’orlo del default.
 
All’opinione pubblica si sta nascondendo una verità amara: l’Italia non ha più fondamentali solidi in molti settori del mondo produttivo ed intere aree territoriali hanno perso aziende di ogni tipo che davano lavoro a tantissime famiglie.
Il tessile, il calzaturiero, la chimica, l’elettronica, la meccanica e perfino abbigliamento medio-fine sono al momento per molti aspetti senza futuro.
Di fronte a tale situazione chi ha creato il disastro ed è stato incapace di porvi rimedio per anni, perché anche la politica è stata assente, ha tirato fuori dal cappello il coniglio del “governo tecnico”.
Quest’ultimo aveva esordito che per tirare fuori il Paese dal fallimento avrebbe coniugato rigore con equità.
Oggi abbiamo letto i provvedimenti illustrati ieri in conferenza stampa da Monti e dai suoi ministri economici.
Prevedono purtroppo molte tasse ancora una volta sui redditi piuttosto che sui grandi patrimoni e sulle rendite finanziarie; chiedono una revisione del sistema pensionistico che penalizza i lavoratori senza portare, come promesso, le risorse risparmiate verso l’occupazione giovanile; non annunciano seri provvedimenti di lotta all’evasione ed all’elusione fiscale, visto che la tracciabilità nei pagamenti alla soglia dei mille euro è ancora troppo alta e per ora generica; ignorano la necessità di una drastica riduzione della spesa pubblica soprattutto sul versante dei privilegi del mondo politico e professionale; non prendono in considerazione una radicale liberalizzazione delle professioni  e del mondo produttivo con la eliminazione delle dinamiche corporative; non affrontano il nodo strutturale della riduzione del debito pregresso, limitandosi a provvedimenti capaci forse solo di arrivare al pareggio annuale del bilancio dello Stato; non immaginano un piano 
visibile per lo sviluppo e la crescita, perché, a parte gli sgravi dell’Irap per le imprese, non si accenna neppure, almeno per il momento, ad una riduzione del costo del lavoro.
La verità a nostro avviso è che chi si illudeva che questo governo potesse fare il miracolo non aveva capito che i suoi esponenti sono espressione di una cultura e di un’economia che non poteva esprimere più di quello che leggiamo.
Quando si parla di equità, la sua realizzazione non può limitarsi all’ 1,5% sui capitali rientrati, alla tassazione sulle auto di grossa cilindrata o sulle barche, che oltretutto battono magari bandiera di altri Stati.
Qualcuno scrive che il governo Monti non può osare più di tanto, perché la politica lo tiene al guinzaglio.
Sarà anche vero, ma noi è proprio dalla politica nel suo complesso che ci aspettiamo un’agenda diversa capace di venir fuori dalla recessione, di proporre idee di uscita dal debito, di impedire che i sacrifici richiesti allarghino i bisogni ed aumentino la povertà, ma soprattutto per mettere al centro del proprio impegno i valori dell’eguaglianza e della giustizia sociale.
In attesa che le classi sociali più deboli riescano ad ottenere nelle istituzioni proprie forme di rappresentanza, che pure in certe realtà cominciano a farsi strada, chiediamo oggi a quei partiti che si dicono democratici di non balbettare in politichese, ma di parlare in un linguaggio franco di equità su questo cosiddetto decreto salva Italia appena varato dal Consiglio del Ministri.

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