Tanto
tuonò che… non piovve
di Umberto Berardo
Che l’Italia stia
attraversando un momento difficilissimo è un fatto.
Che la crisi colpisca
l’intera popolazione, come si vorrebbe far credere è assolutamente falso,
perché negli ultimi quindici anni lo 0,1% degli Italiani ha visto crescere il
reddito del 40% .
È vero, al contrario, come
dimostra l’ultimo rapporto Caritas-Zancan che la ricchezza appartiene a pochi,
mentre la povertà è in forte aumento e colpisce il 13,8% della popolazione e
cioè 8.272.000 persone.
La finanziarizzazione
dell’economia, le regole selvagge e disumane del mercato e la scomparsa di un
metro etico dall’azione politica sono le cause principali del disastro
socio-economico che non solo aumenta la povertà, ma accresce le disuguaglianze.
L’opinione pubblica ha
tollerato per anni che si costruisse un’antropologia feticistica che ha
annullato la dignità della persona umana ed ha messo sugli altari le logiche
del profitto.
Ancora oggi non siamo capaci di costruire un’agenda politica che rimetta al centro della riflessione e della proposta il ritorno ad una democrazia rappresentativa, ad una economia fondata sul lavoro reale piuttosto che su quello dell’arricchimento speculativo, ad un welfare che preveda la riduzione almeno progressiva delle disuguaglianze e la creazione di una società dove ognuno possa godere dei diritti fondamentali previsti dalla Costituzione.
L’enorme debito pubblico
creato senza alcun pudore, il marcio presente nel mondo finanziario, la
corruzione dilagante ed il venir meno della capacità produttiva di un mondo
imprenditoriale che ha delocalizzato o si accontenta di rifugiarsi nel settore
dei servizi hanno portato il nostro Paese sull’orlo del default.
All’opinione pubblica si sta
nascondendo una verità amara: l’Italia non ha più fondamentali solidi in molti
settori del mondo produttivo ed intere aree territoriali hanno perso aziende di
ogni tipo che davano lavoro a tantissime famiglie.
Il tessile, il calzaturiero,
la chimica, l’elettronica, la meccanica e perfino abbigliamento medio-fine sono
al momento per molti aspetti senza futuro.
Di fronte a tale situazione
chi ha creato il disastro ed è stato incapace di porvi rimedio per anni, perché
anche la politica è stata assente, ha tirato fuori dal cappello il coniglio del
“governo tecnico”.
Quest’ultimo aveva esordito
che per tirare fuori il Paese dal fallimento avrebbe coniugato rigore con
equità.
Oggi abbiamo letto i
provvedimenti illustrati ieri in conferenza stampa da Monti e dai suoi ministri
economici.
Prevedono purtroppo molte tasse ancora una volta
sui redditi piuttosto che sui grandi patrimoni e sulle rendite finanziarie;
chiedono una revisione del sistema pensionistico che penalizza i lavoratori
senza portare, come promesso, le risorse risparmiate verso l’occupazione
giovanile; non annunciano seri provvedimenti di lotta all’evasione ed
all’elusione fiscale, visto che la tracciabilità nei pagamenti alla soglia dei
mille euro è ancora troppo alta e per ora generica; ignorano la necessità di
una drastica riduzione della spesa pubblica soprattutto sul versante dei
privilegi del mondo politico e professionale; non prendono in considerazione
una radicale liberalizzazione delle professioni
e del mondo produttivo con la eliminazione delle dinamiche corporative;
non affrontano il nodo strutturale della riduzione del debito pregresso,
limitandosi a provvedimenti capaci forse solo di arrivare al pareggio annuale
del bilancio dello Stato; non immaginano un piano
visibile per lo sviluppo e la
crescita, perché, a parte gli sgravi dell’Irap per le imprese, non si accenna
neppure, almeno per il momento, ad una riduzione del costo del lavoro.
La verità a nostro avviso è
che chi si illudeva che questo governo potesse fare il miracolo non aveva
capito che i suoi esponenti sono espressione di una cultura e di un’economia
che non poteva esprimere più di quello che leggiamo.
Quando si parla di equità, la
sua realizzazione non può limitarsi all’ 1,5% sui capitali rientrati, alla
tassazione sulle auto di grossa cilindrata o sulle barche, che oltretutto
battono magari bandiera di altri Stati.
Qualcuno scrive che il
governo Monti non può osare più di tanto, perché la politica lo tiene al
guinzaglio.
Sarà anche vero, ma noi è
proprio dalla politica nel suo complesso che ci aspettiamo un’agenda diversa
capace di venir fuori dalla recessione, di proporre idee di uscita dal debito,
di impedire che i sacrifici richiesti allarghino i bisogni ed aumentino la
povertà, ma soprattutto per mettere al centro del proprio impegno i valori
dell’eguaglianza e della giustizia sociale.
In attesa che le classi
sociali più deboli riescano ad ottenere nelle istituzioni proprie forme di
rappresentanza, che pure in certe realtà cominciano a farsi strada, chiediamo
oggi a quei partiti che si dicono democratici di non balbettare in politichese,
ma di parlare in un linguaggio franco di equità su questo cosiddetto decreto
salva Italia appena varato dal Consiglio del Ministri.
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