giovedì 9 agosto 2012

L'EURO, UN MACIGNO CHE CI DISTRUGGE. col fiscal compact abbiamo firmato un'altra cambiale in bianco.


È questa la tesi di Carlo Borghi Aquilini docente degli intermediari finanziari in Cattolica

L'euro, un macigno che ci distrugge

Col fiscal compact abbiamo firmato un'altra cambiale in bianco 
 di Gianluigi Da Rold* *da ilsussidiario.com 

Uscire dall'euro? E perché no? Quale tipo di sfracelli accadrebbero per il nostro Paese? In genere si parla di una sorta di cataclisma economico e finanziario. E indubbiamente, anche se la cosa non potrebbe avvenire dall'oggi al domani, le stime che si sentono fare sono piuttosto allarmanti, con un crollo del 30, 40, 50 per cento, e forse più, dopo un possibile ritorno alla lira.
Secondo alcuni, il processo sarà inevitabile e più tardi avverrà, peggio sarà per l'Italia. Il professor Claudio Borghi Aquilini, docente di Economia degli intermediari finanziari all'Università Cattolica di Milano, da diverso tempo scrive sull'insostenibilità per l'Italia di restare nell'euro. E precisa anche che non è affatto vero che lui ce l'abbia con la Germania e con i tedeschi. Risponde infatti: «Che cosa penso della Germania? Il meglio possibile, perché stanno facendo esattamente i loro interessi. Non so se tutto gli riuscirà come vogliono fare. Ma non c'è alcun dubbio che le cose ai tedeschi e alla Germania stiano, adesso, andando benissimo. Si stanno finanziando a tasso zero e stanno massacrando il loro vero competitor industriale in Europa, cioè noi, l'Italia. Se fossi un tedesco e dovessi immaginare, dal punto di vista economico e finanziario un «mondo ideale», un «mondo perfetto», non farei che immaginare questo mondo dell'euro nell'anno 2012».
Domanda.
Forse lei riserva la sue critiche ad altri?
Risposta. È evidente. Io sto criticando questo nostro atteggiamento supino, assurdo, che non guarda e non tutela affatto gli interessi dell'Italia e si piega continuamente alla logica che sta imponendo la Germania. Guardi che non sono sempre stato un euroscettico accanito. Quando si entrò nell'euro pensavo che pagare tassi di interessi inferiori allo Stato servisse, anche se mi rendevo conto che una moneta forte come l'euro ci avrebbe messo in difficoltà. Ma due anni fa mi sono interrogato sul fatto che con i nostri contributi al Fondo Salva-Stati dovevamo contribuire a ripianare le perdite sui titoli greci, di cui si sono imbottite le banche tedesche.
D. E dopo?
R. Poi mi sono andato a rivedere il Trattato di Maastricht, lettura che consiglio a tutti, e credo di aver compreso che trappolone nascondeva per la nostra industria. Viste tutte queste cose, mi sono detto che i
tedeschi, nel loro interesse, ci stanno stroncando sul piano industriale. Andate a vedere la bilancia commerciale della Germania e quella degli altri paesi con l'introduzione dell'euro. E noi non possiamo neppure dibattere, non si può neppure mettere in discussione la cosa, la questione di un'uscita dall'euro. Questo è incredibile rispetto a quello che è avvenuto e avviene in altri paesi.
D. Quali altri paesi?
R. Ma scusi che cosa credete che sia accaduto in Gran Bretagna quando si è deciso di restare fuori dall'euro? Si è scelto così, per simpatia o per antipatia? Per una forma di nazionalismo? Niente affatto. Si è discusso a lungo, ci si è confrontati in Parlamento, sui giornali, nell'opinione pubblica e poi, alla fine, si è fatta una scelta. Lo stesso è stato fatto nel momento in cui gli inglesi non hanno siglato il Fiscal compact. Anche in questo caso è stata fatta una scelta lungamente ponderata, pensata, vista in tutte le sue implicazioni. Noi invece sembriamo sempre sull'attenti, ascoltiamo quello che ci dicono, non facciamo altro che obbedire. Siamo supini, anche se le difficoltà del nostro sistema produttivo sono sotto gli occhi di tutti.
D. Lei che cosa avrebbe suggerito fare?
R. Avrei semplicemente detto che di fronte a certe condizioni, l'Italia usciva dall'euro. Certo non è una cosa che si può fare in quattro e quattro otto. È una scelta che va ponderata, soppesata, sapendo che al momento ci costerebbe una perdita, a mio parere, del 25%. Ma, più aspettiamo, più ci costerà.
D. C'è chi parla di una svalutazione del 40-50%.
R. Allora non fa che confermare la mia tesi, perché significa che lavora con una moneta sbagliata del 40%. In questo modo come facciamo a collocare i nostri prodotti sul mercato? Ripeto, i tedeschi stanno continuando a portare avanti questa situazione, non so se con una pianificazione precisa, fino a quando l'industria italiana non sarà ridotta in cenere.
D. Ma qualcuno si renderà pure conto di una simile situazione e potrebbe ammettere che il sistema è sbagliato, che va rinegoziato.
R. Lei si illude, perché questo non avverrà mai. C'è un puntiglio ottuso su questa vicenda europea, una specie di macigno ideologico e culturale che non può ammettere l'errore. Ma ci pensa? Dovrebbero ammettere che hanno sbagliato completamente la costruzione di un sistema continentale. È impossibile che lo facciano. E noi, con queste condizioni, con questa pressione fiscale e con tutto il resto, siamo condannati alla non crescita.
D. A proposito di pressione fiscale, Angelino Alfano segretario del Pdl, ha proposto una riduzione della pressione fiscale e l'abolizione dell'Imu sulla prima casa. Che ne pensa?
R. Chi ha votato il fiscal compact non può permettersi di dire una cosa del genere. Quell'accordo significa 50 miliardi di tagli della spesa e di tasse all'anno. Con questo tipo di accordo non si fa alcuna crescita. Quindi Alfano non può proprio permettersi di dire una cosa del genere.
D. La sua analisi non lascia molte scelte.
R. Guardi, alle prossime elezioni si dovrebbe andare con queste quattro liste: svalutazione, deflazione, default oppure, appunto, con una ritualità ben studiata, una annessione alla Germania.

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