mercoledì 12 maggio 2010

Nasce "RETE IMPRESE ITALIA" insieme Commercianti, Artigiani e Piccole Imprese.



Con un rush dell' ultima ora, limando numeri, tagliando e cucendo loghi e nomi di battesimo,
Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, Cna, Casa degli artigiani, sono riusciti a trovare una
piattaforma dalla quale lanciare la loro avventura che segna nel panorama italiano della
rappresentanza una data storica. La hanno battezzata Rete Imprese Italia.Il nome vuol dare il senso
non solo di qualcosa che unisce storie diverse, facendone salva l' individualità, ma anche coltivare l'
immagine di una vicenda che ha delle potenzialità e potrebbe essere punto di raccolta per altre storie
e ad altri soggetti. Intanto si parte con la costruzione di un tetto comune e obbiettivi condivisi per il
mondo delle piccole imprese dell' artigianato e dei servizi, divise fino a poco tempo fa da storie
politiche differenti e dna diversi. Quei due milioni e mezzo di aziende e cinque organizzazioni che, alla
fine, si mettono insieme sembrano quasi la materializzazione della fine di un' epoca, quella della
predominanza della grande impresa fordista, che molti dicono essere già morta e conclusa da
tempo, almeno nell' Italia del Made in Italy. Ed è per questo che i " testimoni", il think tank che fa capo
alla Fondazione che ne dovrà costituire la "cultura", comune sono studiosi che hanno seguito questo
mondo da quando era "in fasce" e per lo più sconosciuto alla politica: in primis Giuseppe De Rita, e
poi Paolo Feltrin, Aldo Bonomi, Stefano Zan. A mettere insieme le cinque organizzazioni nel "patto di
Capranica, che costituisce la base della storia di quest' alleanza, era stata la necessità di far fronte
comune contro il fisco "invadente" dell' allora ministro delle Finanze Vicenzo Visco e una
Confindustria a guida di Luca Cordero di Montezemolo, cioè del rappresentante della più grande
impresa privata italiana. Oggi il panorama è più magmatico e molto più "amico". La politica di anni di
berlusconismo ha messo i "piccoli" ormai al centro della scena. La Lega ne ha fatto una bandiera. I
media li studiano e ne raccontano le gesta come "la nuova frontiera" dell' Italia industriale. La
Confindustria di Emma Marcegaglia sembra quasi un " competitor" nella voglia di rappresentanza di
questa parte dell' industria e, alle volte, sembra guardare quasi con fastidio quel mondo di grandi
aziende, ormai per lo più pubbliche, che tiene dentro di sé in una difficile ricerca di obbiettivi comuni.
Se il mondo politico corteggia i "piccoli", è oggi l' economia che li tartassa. Ed è forse un' altra paura,
quella degli effetti della crisi a spingerli a trovare in fretta una piattaforma comune e una forza di
rappresentanza da mettere sul tavolo delle trattative con il governo. Già perché sono quei milioni di
partite Iva, spesso subfornitori "vessati" da grandi e medie aziende, o piccoli commercianti assaltati
dalla grande distribuzione e dagli outlet, a costituire il polmone di sfogo della più severa crisi
economica e industriale del dopoguerra. Da soli i "piccoli" secondo le uniche statistiche disponibili,
che sono quelle dell' Istituto Tagliacarne, producono poco meno della metà del prodotto manifatturiero
italiano con percentuali che salgono, ovviamente nel Nordest), quota che si riduce un po' se si
considera che parte di essi, almeno un altro 10%, dipende, come subfornitura, da grandi e medie
aziende. Ma se si guarda le statistiche di Mediobanca sulle perfomance dei " fratelli" industriali grandi
e medi si capisce perché oggi la crisi spaventa. Sono infatti queste aziende quelle che "resistono"
alle prepotenze del sistema bancario, dato che la metà di esse ha un merito di credito solido (nelle
piccole è invece solo un terzo del totale). Sono loro che, pur avendo "sopportato" cali del fatturato del
20% tra il 2008 e il 2009, dicono di vedere un futuro industriale migliore quest' anno. E' questo mondo
di medio grandi ad avere tassi di produttività che tengono il confronto con imprese francesi
tedesche. Gli altri sono più fragili economicamente, più esposti alle "prepotenze" del sistema
bancario e istituzionale italiano, con la sua burocrazia e il suo fisco vessatori. E comunque sanno di
avere davanti un futuro di trasformazione, che inevitabilmente lascerà molti di loro sul terreno. E'
questa forza e questa paura che, nel tempo, ha scolorito derivazioni politiche che risalgono agli anni
del dopoguerra quando nacquero le associazioni dell' artigianato e del commercio, in conflitto con la
Confindustria delle grandi aziende e in accordo con i due partiti maggiori, Dc e Pci, il primo attento a
questo mondo per la secolare dottrina sociale della Chiesa, il secondo che gli diede dignità sull'
intuizione del suo leader, Palmiro Togliatti, che, in contrapposizione alla Confindustria dei "monopoli",
teorizzava una qualche alleanza tra classe operaia e ceti medi produttivi. «Oggi quel collateralismo si
è affievolito: da una parte per la scomparsa di un punto di riferimento come la Dc; dall' altra in un
processo di emancipazione che nelle zone rosse ha di fatto riconosciuto piena autonomia a questo
ceto imprenditoriale al livello locale», dice Alberto Rinaldi storico dell' economia e studioso del
mondo della rappresentanza. Ma quel dna solido, costituito da una lunga storia e oggi anche da una
certa autonomia dalla politica, resta, tanto che, come nota un esponente un po' eretico di questo
mondo, Giuseppe Bortolussi, leader della Cgia di Mestre, «neanche la Lega, bandiera politica dei
"piccoli", è mai riuscita ad entrarvi né con la costituzione di un sindacato, ne entrando nelle
associazioni di categoria, né nei consorzi di bonifica». Federalismo fiscale, un fisco attento alle
ragioni dei piccoli, semplificazione burocratica, sono gli obbiettivi immediati di questo nuovo "patto
tra produttori" che, come dice il suo primo presidente (a turno si avvicenderanno sulla scena ogni sei
mesi i rappresentati delle singole associazioni) Carlo Sangalli, leader di Confcommercio, «vuole
rappresentare, quell' Italia che, anche in tempi di crisi, non ha tirato i remi in barca e costituisce una
risorsa fondamentale per rimettere in moto crescita e sviluppo, coesione territoriale e coesione
sociale». Sarà un osso duro, o così minaccia di essere, anche per la politica se come fa intendere
Cesare Fumagalli, segretario generale Confartigianato, non si faranno sconti a nessuno, su temi,
come quello della semplificazione, che per molte piccole aziende costituiscono ragione di vita o di
morte: «Vanno bene i falò di leggi, ma la produzione legislativa nuova deve essere a impatto zero,
invece qui si continuano a mettere obblighi assurdi per delle piccole aziende». Lo sarà anche per la
Confindustria, che pesca anche lei in un mondo magmatico in cui i confini tra commerciante,
artigiano, piccolo imprenditore sono a tratti molto sfumati, ma che deve affrontare la concorrenza di
un mondo, come quello rappresentato dalle cinque Confederazioni, abituato ad offrire una gamma di
servizi molto ampia (consulenze fiscali, accesso ai finanziamenti agevolati, contabilità, buste paghe etc.) piuttosto che la tutela sindacale, e che ha più mani libere in termini di tattiche politiche e
strategie per l' assenza di grandi aziende private e pubbliche. Fin dove arriverà questo patto è presto
per dirlo: «Valuteremo in futuro. Quello che conta è che ora abbiamo deciso di affrontare insieme
tematiche settoriali, con un portavoce unico e riconosciuto con cui sederci al tavolo del governo»,
dice Marco Venturi, numero uno della Confesercenti. Possibile un contratto unico, una rafforzamento
delle strutture dei Confidi, una scuola di formazione. Tutto purchè non si parli di fusione: dall'
esperienza dei vecchi partiti socialisti e socialdemocratici fino a quella di AnForza Italia la storia ha
dato molte delusioni e oggi la strategia della rete sembra essere quella di "marciare divisi per colpire
insieme" del Feldmaresciallo Von Molkte. - La Repubblica.it

1 commento:

kelma ha detto...

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