domenica 19 dicembre 2010

Diritto allo studio e rete scolastica molisana

di Franco Novelli
Premessa.
Il 9 dicembre scorso, presso la sala della Costituzione a Campobasso, si è svolto un convegno regionale su “Diritto allo studio e rete scolastica nel Molise”, al quale le associazioni che l’hanno organizzato hanno conferito un rilievo nodale, perché si doveva affrontare un tema molto attuale oggi, in considerazione dei tagli che il Ministero dell’Istruzione sta effettuando, ovviamente penalizzando la scuola nella sua totalità, come le violente manifestazioni e serrate proteste stanno in queste ore denunciando.

L’assenza di due invitati, l’assessore regionale all’istruzione e quello provinciale di Isernia, e la modesta presenza di pubblico in sala hanno praticamente un po’ tarpato le ali al convegno, perché ovviamente sono venuti meno due componenti essenziali del dibattito e del confronto. L’attesa, dunque, nello scrivere queste note è stata determinata da una rabbiosa incredulità di fronte al silenzio dei più. Ma in effetti l’abbiamo quasi subito avanzata, pensando sia all’estraneità degli eletti rispetto al corpo elettorale (gli eletti, una volta che siedono sugli scanni, sono portati a considerarsi come persone insindacabili che non hanno il bisogno del confronto con chi li ha eletti o semplicemente con quanti gli chiedono di confrontarsi sulle tematiche che attengono alla vita del paese o della regione) – la scusa di altri impegni è solo fittizia ed irragionevole – sia al modesto influsso dell’informazione che non sarebbe pervenuta alle orecchie degli utenti delle istituzioni scolastiche, ossia le famiglie, gli studenti, il personale della scuola di ogni ordine e grado. Noi affronteremo tali questioni in un altro momento, perché vorremmo in questa sede soltanto mettere in rilievo ciò che è emerso in relazione alle osservazioni sul disegno di legge regionale intitolato “Norme sul sistema educativo regionale”, e alla delibera di giunta regionale del 25 ottobre 2010.



Gli interventi e le questioni nodali della rete scolastica regionale.

Va detto che gli interventi del direttore generale dell’ufficio scolastico regionale, dott. Fabio Iodice, quello dell’assessore all’istruzione della provincia di Campobasso, dot.ssa Annamaria Macchiarola, e della dirigente scolastica prof.ssa Rossella Gianfagna, hanno dato lustro all’iniziativa, ponendo sul tappeto questioni non solo attinenti all’organizzazione complessiva del lavoro scolastico, ma anche ai nodi centrali che portano al cuore della questione della rete scolastica regionale: come allo stato attuale ottemperare alle richieste di una scuola di qualità a fronte di una riduzione molto consistente dei finanziamenti ministeriali alla scuola pubblica, mentre quella paritaria da qualche mese ha avuto un “lascito” sostanzioso che le permette di respirare e quindi di funzionare.

Rispetto al ridimensionamento della rete scolastica e del personale tutti e tre concordano che le “pluriclassi” non sono né adatte né funzionali per ragioni che saltano dinanzi agli occhi con immediata evidenza: possono apparire ed essere ghettizzanti e poco “motili” in riferimento alla didattica e al problema della socializzazione: le pluriclassi non concorrerebbero concretamente alla crescita culturale e al processo di socializzazione degli alunni; essi rimarrebbero come ingabbiati nella loro stessa rete, ossia in quella organizzazione del lavoro scolastico, che sarebbe finalizzato pressoché unicamente al mantenimento della sede scolastica e quindi alla conservazione, tout court, del posto di lavoro per molti insegnanti. Dunque, la pluriclasse apparirebbe come l’espressione di una battaglia di retroguardia (questa lettura dell’esperienza della pluriclasse andrebbe però approfondita, in quanto ci sono tutti gli elementi per poterlo fare e fra questi il nodo doloroso della dispersione scolastica e quello della validità professionale di molti docenti impegnati nell’esperienza delle pluriclassi!).

Un altro tema sul quale si è insistito è quello dell’urgenza di un tavolo di concertazione pragmatica ed operativa fra la regione Molise e tutte quelle componenti sociali, professionali, sindacali che ruotano attorno all’istituzione scolastica; infatti, non si va da nessuna parte, se non si ottempera all’imperativo categorico del confronto e della collaborazione su temi essenziali e vitali per la collettività come quello dell’educazione civile e della formazione culturale delle giovani generazioni.



Fare rete.

Un ulteriore elemento di riflessione è stato prospettato dall’intervento della dirigente scolastica prof.ssa Gianfagna, quando ha sottolineato l’assoluta necessità di fare “rete” fra le istituzioni scolastiche, in quanto tale strategia sarebbe un viatico essenziale non solo per le istituzioni scolastiche, ma anche per le comunità di tutti quei centri sui quali potrebbe abbattersi la mannaia della chiusura degli edifici scolastici. La “rete” garantirebbe la fruizione dei complessi scolastici in orari differenziati, dando così una motivazione reale a quanti sostengono che la presenza delle scuole nei paesi dell’entroterra e delle zone montane sono come una specie di ancora di salvezza e di visibilità per quelle comunità che la politica regionale e quella nazionale tendono incongruamente a mortificare. Inoltre, le amministrazioni comunali dovrebbero maggiormente investire sulla “scuola” che resta, comunque, la cartina di tornasole della cultura civile e democratica.



Relazione del prof. Umberto Berardo.

Si entra nel cuore delle problematiche, quando prende la parola il prof. Umberto Berardo, animatore del gruppo di lavoro (docenti e alcuni sindaci) che dal convegno di Trivento (Cb) del 17 aprile 2009 ad oggi ha proposto una serie di rilievi e di suggerimenti che hanno lo spessore e l’ampiezza della proposta di legge sulla rete scolastica molisana. Tralasciando taluni passaggi nei quali il relatore si dichiara concorde con le valutazioni fatte da coloro che lo hanno preceduto (critica al ridimensionamento delle rete scolastica regionale da parte della regione Molise che non ha in nessuno modo tentato di coinvolgere le parti sociali e professionali che della scuola sono la spina dorsale), veniamo in sintesi alla “pars construens” e propositiva della relazione del prof. Berardo.

Un elemento chiaro emerge dalla crisi della scuola in Molise ed è quello per il quale l’educazione, l’istruzione e la ricerca sono “beni troppo importanti” per i cittadini, per i quali la spesa pubblica non va ridotta ma sostenuta ed ampliata, sia perché la cultura e l’educazione sono come il sale della democrazia per un paese, sia anche perché le scuole sono luoghi fisici dove la sicurezza deve essere al centro delle preoccupazioni per una amministrazione istituzionalmente e civilmente dignitosa. Nelle scuole gli studenti dovrebbero essere sicuri e tutelati nella convinzione che alle amministrazioni locali stanno a cuore la salute e l’integrità fisica degli studenti. Il ritorno al tempo pieno e all’insegnamento modulare è auspicabile, in quanto sostanziosamente più utile e operativamente più necessario per la crescita complessiva dell’alunno che trarrebbe notevole spinta nel suo processo di maturazione che non dal semplice “maestro unico”, come la riforma Gelmini ha messo in moto. La stessa aggregazione delle scuole in istituti comprensivi, secondo Berardo, dovrebbe obbedire ad una logica indicata dalle richieste e dalle esigenze dei cittadini ma determinata da una progettualità strutturale, logica e didattica insieme, che vede la collaborazione attiva e proficua da un lato delle amministrazioni locali e da un altro delle istituzioni scolastiche e del mondo che attorno alle stesse ruota.



L’educazione permanente, l’educazione degli adulti.

Un elemento sul quale confrontarsi con tempismo e determinazione è quello relativo dal fatto di dotare gli istituti comprensivi di un organico docente che possa garantire alle comunità interessate un processo di “educazione permanente”, il cui obiettivo è molteplice, in considerazione che questa andrebbe a favorire la vitalità intellettuale del paese, a convincere i cittadini della necessità assoluta dell’apprendimento “senza stagioni”, dell’opportunità in questo modo di tenere in servizio gli insegnanti necessari ed indispensabili per questo cammino di costante alfabetizzazione. Le scuole per adulti così sarebbero utili e configurerebbero un territorio molto più vivace e partecipe. Obiettivo della politica è proprio quello di tenere saldi i legami con il territorio amministrato, configurando per questo una realtà di civile e dignitosa esistenza. Il convincimento che la scuola, la formazione, la ricerca scientifica siano essenziali per una comunità nazionale dovrebbe naturalmente tutelare la scuola dai tagli e dalla riduzione dei finanziamenti. Se si “coltiva” la scuola, si tutela la democrazia di un paese. Oggi, ovviamente, sostiene il prof. Berardo, viviamo in una età nella quale lo studio, la scuola, l’università, la formazione intellettuale del cittadino (e del giovane) non solo non interessano alla leadership parlamentare e di governo, ma vengono rigorosamente osteggiate in quanto strumenti di coscienza civile e di dialettica partecipazione alla “res publica”, patrimonio assolutamente depotenziato ed osteggiato. L’ostracismo della cultura, che parte dalla riduzione dei finanziamenti, porta inequivocabilmente all’ignoranza, all’estraneità, che poi partoriscono divisione sociale e instabilità civile, anticamera di un “buio” pesto e dannoso per la democrazia.

Dunque, auspicabile è il confronto; di qui, l’esigenza di continuare nella ricerca tematica e nel confronto dialettico fra le parti sociali e professionali alle quali sta a cuore il presente ma anche il futuro della scuola molisana.

Il convegno del 9 dicembre scorso ha voluto essere concretamente un contributo al dibattito regionale e l’ulteriore indicazione che un gruppo di intellettuali da tempo lavora sulle tematiche scolastiche, facendolo in assoluta gratuità, con l’unico imperativo categorico che è quello della passione grande per la scuola, per il suo universo, per la democrazia del nostro paese.

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